Capitolo IV
Durante il viaggio in aereo Irene scrisse una lista di cose da fare. Sua sorella le diede un grosso aiuto nel gestire le operazioni coordinando tutti i tempi delle varie ditte che avrebbero ristrutturato il locale. Marcello era stato molto elastico durante la stesura del contratto d’affitto e delle relative clausole e condizioni. Volle esser presente durante lo sgombero del locale e le aveva consentito di poter tenere molti pezzi di antiquariato e appoggiò affascinato l’idea di Irene di conservare l’angolo della cassa esattamente come era ai tempi della barberia.
Davanti ad una birra ghiacciata, Irene spiegò a Marcello i progetti e l’idea che aveva in mente riguardo l’allestimento del piccolo bistrot e della sua relativa cucina. Legno, acciaio e complementi d’epoca sarebbero stati combinati in un insieme armonioso. Specchi, comò e poltrone avrebbero trovato nuova luce grazie alle mani di un restauratore. Studiando poi la vecchia planimetria del locale, Irene scoprì che in fondo a sinistra c’era la cappa di un caminetto e aveva intenzione di riaprirla e sfruttare quell’angolo. La cucina sarebbe stata arredata in maniera semplice e funzionale, all’insegna della comodità e della praticità. Il menù particolare avrebbe seguito il mutare delle stagioni, Irene avrebbe preparato personalmente i piatti, almeno per i primi tempi. Il locale avrebbe contenuto all’incirca cinque o sei tavolini per un massimo di venti coperti. D’altro canto Irene nella sua vita aveva sempre puntato alla qualità e anziché alla quantità. Voleva sporcarsi le mani e metterci la faccia, curare personalmente ogni minimo dettaglio e fare un passo alla volta.
Raggiunse una visione d’insieme durante quel viaggio, che probabilmente sarebbe stato l’ultimo in veste di giornalista gastronomica. La Borgogna l’attese profumata e frizzante, i vigneti erano ordinati e distesi in campi infiniti. Irene si sarebbe fermata qualche giorno per osservare e fotografare la vita di Bastien, uno dei paysans-boulangers della borgogna.
Bastien faceva il panettiere a Parigi da quando aveva 13 anni, poi intorno ai 25 aveva deciso di trasferirsi nei campi tra le dolci colline della borgogna e lì aveva creato una filiera che andava dal campo alle tavole. Era un lavoro che lo impegnava tutti i giorni di tutto l’anno, ma osservandolo in quei giorni Irene capì che non avrebbe potuto trovarsi altrove. Quei campi e l’odore del pane erano tutta la sua vita.
Dopo essere stata accompagnata nella sua stanza da Amélie la moglie di Bastien, la prima cosa che fece Irene fu affacciarsi alla finestra: rimase incantata dal panorama che le si presentò davanti. Le distese dorate sembravano davvero non finire mai, e pensò a quanto potesse essere bello vivere in quel modo di terra, di raccolti, di pane. Con il tempo che veniva scandito dal sole, dalle stagioni e dalla lievitazione. Provava un’immensa pace in quel momento e si disse che avrebbe approfittato il più possibile della quiete che quel luogo magico le concedeva.
Irene scese per la cena che consumò assieme a Bastien, Amélie e petit Lucien, il loro bimbo di quattro anni. Amélie era una cuoca eccellente e Irene gustò il beuf au bourguignon più buono della sua vita, un’insalata di patate alla senape e una fantastica baguette ai semi di lino. Cercò di catturare quanti più dettagli possibili durante quella cena: Bastien e Amélie amavano la loro casa e davvero, pur trascorrendo ogni giorno lì, era come se stessero in vacanza, erano naturali e soddisfatti di quello che facevano.
Alle tre del mattino si incontrò con Bastien in cucina: Irene l’avrebbe seguito al laboratorio per osservarlo lavorare il pane alla maniera antica. Uscirono di casa, il sapore della notte era liquido e freddo. Bastien sembrava non accorgersene, notò Irene. Con pochi passi arrivarono al laboratorio: c’erano piani in acciaio, in marmo e in legno, ceste per la lievitazione, sacchi di farina, barattoli di semi, ciotole di ceramica. Bastien prese gli impasti che aveva preparati nel primo pomeriggio del giorno precedente e cominciò di nuovo a lavorarli.
‘ll segreto sta nella doppia lievitazione’, disse ad Irene. ‘Prendi quell’impasto al grano saraceno e lavoralo un po’, aggiungendo anche uno spicchio d’aglio tritato e un po’ di timo secco’.
Irene si mise al lavoro constatando quanto fosse difficile lavorare un impasto di sola farina di grano saraceno: aveva la consistenza della sabbia, era molto complicato maneggialo.
Bastien la osservò.
‘Sono uno dei pochi che prepara il pane così. Generalmente vengono utilizzate altre farine negli impasti a base di grano saraceno, in percentuale addirittura maggiore. Ma nella mia famiglia questo pane particolare si è sempre consumato così. Ha un sapore molto insolito e rustico. E anche i miei clienti lo apprezzano molto’.
Prepararono le forme e mentre la lievitazione continuava infornarono crackers e grissini. La produzione di Bastien era piuttosto limitata: aveva i suoi clienti affezionati, prezzi piuttosto onesti considerando che lavorava tutto a mano, e implementava gli introiti con la vendita di farine, vini, ortaggi e frutta, affittava alcune case della sua enorme dimora. A questo aveva aspirato sin da piccolo e questo aveva ottenuto, mettendoci la faccia e la grinta.
C’era un profumo pazzesco: grissini e crackers ai semi erano dorati al punto giusto e Bastien mise a cuocere nell’enorme forno il resto dei pani. Una volta pronto sistemarono il tutto in grandi ceste di vimini. Sistemarono i pani su un rudimentale carrello in legno e andarono alla boulangerie. C’era un rapporto speciale tra Bastien e i suoi clienti, c’era l’amore per il cibo buono, la soddisfazione e i risultati genuini.
Irene rubò profumi, luci e fotografie da quel viaggio. Bastien le fece gli auguri per il suo futuro locale, ricordandole che al di là dei sacrifici, cibo era sinonimo di amore.
Fougasse al grano saraceno aglio e timo
Ingredienti per 3 pani:
750 g farina di grano saraceno bio
5 g lievito di birra fresco
1 cucchiaino di sale
1 cucchiaio di olio evo
600 ml acqua circa
½ cucchiaino malto d’orzo
1 spicchio d’aglio
1 cucchiaino timo secco
Per l’emulsione prima di infornare:
50 ml acqua
30 ml olio evo
½ cucchiaino di sale
Procedimento:
Versa la farina di grano saraceno in una ciotola. Preleva un poco d’acqua dal totale e sciogli all’interno il malto d’orzo e il lievito di birra fresco. Versalo nella farina, aggiungi il cucchiaio d’olio e inizia ad impastare aggiungendo anche il resto dell’acqua. Dovrai ottenere un impasto omogeneo e umido. Aggiungi il sale, impasta altri 5 minuti. Trasferisci in una ciotola spennellata con olio evo e fai riposare a temperatura ambiente tutta la notte.
Trascorsa la prima lievitazione, lavora di nuovo l’impasto aggiungendo l’aglio (ridotto in pasta) e il timo secco. Dai ai pani la tipica forma a fougasse, trasferiscili su una teglia foderata di carta forno, e fai riposare a temperatura ambiente per almeno 8 ore.
Prepara un’emulsione battendo energicamente acqua, olio e sale. Distribuiscila con un pennello sui pani, quindi inforna a 190° per 30-35 minuti.
– Note: questo è un pane davvero particolare. E’ rustico, croccante, piacevolmente secco. Conservatelo in buste di carta e consumatelo al più presto.
Monica dice
Mi perdo nelle tue parole. In questo periodo così complicato dove mi vedo costretta in maglie troppo strette, in muri freddi e legata da fili che mi impediscono di muovere più di pochi passi. L’aria si fa rarefatta ed io socchiudo gli occhi, e sogno grazie a te d’essere altrove.
Mi piace come scrivi, sei leggiadra e rendi appieno le scenografie e mi sembrava quasi di sentirlo l’odore di quei pani.
La fougasse è bellissima e questa al grano saraceno è perfetta per questo mio momento alimentare chiamiamolo ‘speciale’.
Mi sono ripromessa di liberarmi dalla mia camicia di forza in tardo autunno per fare un giro a Roma, per abbracciare le Amiche.
Tienimi un posto al caldo vicino a te <3
Debora dice
Il cibo era sinonimo di amore….
(e di convivialità, unione, comunione)
Quanto sono vere queste parole. Vere e belle come la bontà della tua fugasse, mentre davanti a un pezzo di pane tutto il resto lievemente scompare…
Margherita dice
La mia giornata é cominciata storta, la voglia di primavera mi sta ossessionando. Mi sono salvata rifugiando una delle mie “boulangerie” – come le chiamiamo qui- preferite dove la fugasse é di casa, e sono tornata a casa con il cesto del passeggino bello gonfio di pane e focacce. Ci credi che mi é tornato il sorriso?
Il cibo é veramente sinonimo di amore, passione e condivisione. Questa focaccia deve essere eccezionale Ale e le tue foto sono sempre più belle. Un abbraccio, spero tu stia bene.