Gandhi diceva che la felicità è quando ciò che pensi, ciò che dici e ciò che fai sono in armonia.
E io non chiedo altro.
Quando in punta di piedi nelle mattine lente del fine settimana mi dirigo verso la cucina sperando di non svegliare nessuno, succede quasi sempre che mi preparo un caffè, mi accomodo su una delle vecchie sedie e mi godo il silenzio. In quell’arco di tempo cerco di organizzare mentalmente le attività delle due giornate che mi aspettano assieme ai mostri, ché ho capito che con tre figli al seguito o ti organizzi o rischi di affogare. Frequentemente succede che i miei film mentali vadano in fumo dopo nemmeno mezz’ora dalla loro messa in onda, perché l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. E in questi casi io un po’ nuoto e un po’ affogo.
A volte capita però che le ore si incastrino bene tra di loro, che fili tutto liscio, che io addirittura riesca a ritagliarmi del tempo per me, perché magari i ragazzi stanno vedendo la tv e il piccolo dorme. E io grata ne approfitto per andare in bagno senza girelli al seguito, per esempio. Per farmi una doccia con Damien Rice in sottofondo. Per leggere oppure per scrivere.
Per stare in cucina con la porta chiusa.
Impasto volentieri in quei momenti. Spengo letteralmente il cervello e procedo attingendo a quella memoria sensoriale che ho accumulato in tutti questi anni.
E nelle pieghe del pane ci finiamo io, mia mamma e mia nonna. E tutte le donne che hanno cucinato per me e con me e da cui ho imparato la maggior parte delle cose che conosco e che girano intorno al concetto del buon cibo.
Ecco che succede: io preparo sempre il pane e riesco a fare almeno una delle cose di cui ho parlato sopra, poi la giungla familiare mi ingloba nuovamente e il weekend passa in un nano secondo. E quando la domenica sta per volgere al termine noi facciamo sempre una cosa: tagliamo un pane tiepido litigandoci sempre il cantuccio e ceniamo senza portare a tavola le posate, mangiando pane e prosciutto o pane e olio con le mani.
E in quel momento ciò che pensiamo coincide esattamente con ciò che diciamo e facciamo.
Il pane della domenica
300 g di farina 0
150 g di farina integrale
50 g di farina di grano saraceno
250 ml di acqua a temperatura ambiente
1 cucchiaino di malto d’orzo
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
2 cucchiaini di sale fino
3 g di lievito di birra fresco
Sciogliete il lievito in un poco d’acqua prelevata dal totale assieme al malto d’orzo. Fate riposare una decina di minuti, nel frattempo mescolate le farine nella ciotola della planetaria. Aggiungete l’acqua con il lievito, poi a filo il resto, lavorando l’impasto a velocità media.
Aggiungete dopo circa 8 minuti l’olio evo e infine il sale. Lavorate ancora 5 minuti, disponete quindi sul piano di lavoro per procedere alle classiche pieghe a portafoglio. Formate un panetto e mettetelo in una capace ciotola unta d’olio, coperto con la pellicola a riposare tutta la notte.
Al mattino sgonfiate l’impasto, lavoratelo un poco sul piano di lavoro e mettete a lievitare in una pentola di ghisa foderata di carta forno con coperchio chiuso, per circa 3 ore.
Praticate delle incisioni, mettete di nuovo il coperchio, infornate alla massima temperatura per circa 20 minuti, poi scoperchiate e abbassate il forno a 220° e proseguite per altri 20 minuti. Con estrema attenzione togliete il pane dalla pentola tirandolo via con la carta forno e disponete sulla griglia e fate cuocere altri dieci minuti a 200°.
Fate raffreddare su una gratella.
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